L’articolo, curato da Monica Soracase della Fondazione Villa Ghigi, è tratto da una ricerca originale realizzata da Paola Bertoni per il Parco Regionale Gessi Bolognesi e Calanchi dell’Abbadessa nell’ambito di un progetto di educazione ambientale intitolato “La ricomparsa degli ulivi”. Per informazioni contattare il Parco Regionale Gessi Bolognesi e Calanchi dell’Abbadessa.
L’olivo, specie arborea tipicamente mediterranea, è presente fin da tempi remoti nell’ambiente collinare bolognese con una distribuzione “a macchia di leopardo”, adattandosi in ristrette nicchie ecologiche, protette dai venti settentrionali e dalle nebbie. Anche gli olivi del Parco Regionale Gessi Bolognesi e Calanchi dell’Abbadessa rispecchiano questo tipo di distribuzione e convivono bene con altre specie adatte a vivere in ambienti caldi, caratterizzati da esposizioni luminose e soleggiate. A partire dagli anni ’90, gli agricoltori del parco, spinti da un vivace interesse verso questa coltura, hanno iniziato a ripiantare olivi di diverse varietà, destinando alcuni siti rurali a oliveti specializzati. Giovani olivi di origine toscana come Leccino, Frantoio, Correggiolo, Pendolino, ma anche tipici del territorio di Brisighella come Nostrana di Brisighella e Ghiacciolo, sono presenti al Farneto, alla Croara, presso Villa Miserazzano, in via Montebello e via Martiri di Pizzocalvo. Ma accanto a questi recenti impianti di olivo si trovano anche esemplari secolari che sono stati individuati, grazie ad interviste, sopralluoghi e scrupolose ricerche d’archivio, nelle località Croara, Uccellara, Monte Calvo, Casola Canina, Miserazzano, Farneto in via Montebello a San Lazzaro e a Villa Torre in località Settefonti.
Importanti riferimenti bibliografici e relative citazioni che rievocano la coltivazione dell’olivo in alcuni luoghi del parco si ritrovano a partire dal XVI secolo. Nel 1553 Leandro Alberti in “Descrittione di tutta Italia” cita le colline rivestite di vigne, alberi da frutto e anche olivi che si incontrano percorrendo la via Emilia, provenendo da est, a circa 5 miglia da Bologna. Nella seconda metà del XVIII secolo l’erudito abate Serafino Calindri nel suo “Dizionario corografico, georgico, orittologico, storico ecc. della Italia …” parla della coltivazione di questo nobile frutto nel racconto di varie località, tra cui Casola Canina, Ciagnano, Croara, Farneto, Monte Calvo, Pizzocalvo e Ozzano; egli afferma che in quei territori esistevano ancora “alcune reliquie dei vasti, antichi piantamenti che l’inclemenza delle straordinarie gelate aveva distrutto in buon numero […] e che poi l’infingardaggine degli agricoltori aveva lasciato perire”. Nella descrizione del comune di Monte Calvo ricorda poi che nel territorio, oltre a frutteti, querce, boschi e pascoli, sono presenti olivi in grande quantità. La costanza di un agricoltore nel “propagare, allevare e coltivare questa importante pianta” nei comuni di Ozzano e Settefonti, viene rammentata nel Manuale Agrario del 1797. Infine anche un minuscolo oliveto di proprietà del Monastero San Procolo, in località Miserazzano, trova citazione nel testo del 1979 di Antonio Ivan Pini “Gestione economica, viticoltura ed olivicoltura nell’azienda agraria del monastero bolognese S. Procolo alla fine del Duecento”.
La testimonianza più antica emersa dalla ricerca nel fondo Demaniale di S. Salvatore, riguarda la località Uccellara, con il riferimento a pezze di terra oliveta in due documenti di locazione enfiteutica (1360 e 1540) e in uno di acquisto (1543) da parte dei monaci. In quest’area sono ancora presenti olivi centenari e, pur essendo scomparso il toponimo dalle carte, i proprietari lo hanno opportunamente mantenuto come denominazione della tenuta e della residenza: Fondo Uccellara.
La ricerca storica ha portato alla luce anche un importante documento risalente al 1531 in merito all’acquisto da parte di Bonaldo de Vittori di due appezzamenti parzialmente coltivati ad olivo nel Comune della Croara. Uno dei due terreni confinava con i possedimenti di Nicolò Accarisi, da cui il nome Poderetto Accarisi, attualmente di proprietà della famiglia Collevati che ha piantato da alcuni anni molti olivi che accompagnano i sei esemplari secolari, testimoni di una storia destinata a continuare.
La consultazione di piante e disegni di fondi rustici e urbani appartenuti al Collegio Montalto (XVII – XVIII secolo) ha permesso, poi, l’individuazione di due appezzamenti di terra vidata e oliveda, uno in località Pieve di Pasto, odierna Pieve di Pastino, e l’altro in località S. Cristofaro, di cui però oggi non rimane traccia. (ASBO Collegio Montalto 112/8755).
È interessante la scoperta di un vero e proprio oliveto in un disegno a penna del 1664 del complesso dell’Eremo Camaldolese di Casola Canina, conservato nell’Archivio Gozzadini. Mentre in questo antico documento gli alberi, numerosi e disegnati con dettaglio, costituiscono un piccolo insieme definito oliveto, non se ne ritrova traccia in un disegno del 1723 tratto dalla Collezione Tognetti; molto probabilmente la frana che minacciava già l’eremo ne aveva determinato la scomparsa.
L’olivo, inoltre, è presente nella memoria degli anziani contadini del parco che tramandano ancora alcune tradizioni legate alla coltivazione, conservazione ed utilizzo dei suoi frutti e forniscono importanti dettagli sulla possibile datazione di alcuni esemplari centenari.
Per il parco, dunque, l’olivo rappresenta una coltura passata ma, per fortuna, non completamente estinta, come dimostrato dalla presenza di esemplari secolari che sono sopravvissuti alle gelate grazie a una resistenza alle temperature critiche acquisita adattandosi a specifici microclimi locali. Il forte interesse verso questo tipo di coltura ha spinto l’Ente Parco a richiedere la collaborazione dell’Istituto di Biometeorologia del Centro Nazionale delle Ricerche di Bologna per identificare ecotipi o varietà locali adatti ad essere riprodotti e reintrodotti nel parco per ripristinare un paesaggio perduto e ottenere, allo stesso tempo, prodotti di qualità strettamente legati al territorio.
Dall’anno scolastico 2007-2008, l’olivo è entrato anche nelle proposte educative del Centro di Educazione Ambientale Punto Scuola dell’area protetta con la finalità di far conoscere la natura e la storia di questa pianta affascinante presso le scuole e le famiglie che frequentano il parco.
L’olivo fornisce quindi lo spunto per arricchire i percorsi didattici legati all’agricoltura, ma anche il pretesto per far conoscere alcune aziende dell’area protetta che si sono rese disponibili ad ospitare le classi e a coinvolgere bambini e ragazzi in semplici operazioni colturali come la raccolta, potatura e la conservazione delle olive.
Bibliografia
Bibliografia e fondi archivistici
- F. L. Alberti, 1553, Descrittione di tutta Italia, Ristampa anastatica parziale della Descrittione di tutta Italia, Ludovico degli Avanzi, Venezia, 1568.
- Calindri, 1783, Dizionario Corografico, georgico, orittologico, storico, etc. della Italia, Forni Editore Bologna.
- A. G. Pedevilla, 1797, Manuale Agrario, Tipografia Nobili, Bologna II edizione, 1818.
- A. I. Pini, 1979, Gestione economica, viticoltura e olivicoltura nell’azienda agraria del Monastero bolognese di S. Procolo alla fine del Duecento, in Atti del Convegno sull’azienda agraria nell’Italia centro-settentrionale dall’antichità ad oggi. Verona 1977(1979).
Elenco documenti consultati presso l’Archivio di Stato di Bologna
- Collegio Montalto, 112/8775, Piante e disegni di fondi rustici e urbani appartenuti al collegio, tavole di tutti i beni del Collegio Montalto secc. XVII-XVIII
- Collezione Tognetti, matrici N/14, c. 330, 1723
- Demaniale, PP Camaldolesi di S. Benedetto dell’Eremo, 8/4115, 1666
- Demaniale, S. Salvatore, 80/2527 (1084-1400), Beni della Croara
- Demaniale, S. Salvatore, 81/2528 (1400-1549), Beni della Croara
Elenco documenti consultati presso la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna
- Archivio Gozzadini XXIII/93 (1664) Casola Canina